Per chi soffre di ansia o attacchi di panico, il restare a casa ‘forzatamente’ ha assecondato timori già presenti prima del Coronavirus.
Chi infatti aveva difficoltà ad uscire, prendere i mezzi, frequentare posti affollati, ha vissuto un tempo sospeso in cui tutto questo era sconsigliabile o ridotto ai minimi termini.
Ora che gradualmente si ricomincia a frequentare il mondo esterno, i sintomi che forse sono stati attutiti, possono tornare a galla insieme alla ripresa della routine quotidiana: affanno, tachicardia, paura di morire, se non affrontati in maniera profonda, tornano ad impedire una vita normale, privandosi anche di ciò che è mancato fino a questo momento: la condivisione e la libertà di uscire.
All’interno della coppia, generalmente i bisogni di ciascuno dovrebbero trovare spazio; quando questo non succede, uno dei due potrebbe assumere il ruolo di ‘martire’, mettendo i bisogni dell’altro sempre al primo posto e dimenticandosi dei propri.
Questo da una parte soddisfa il bisogno di sentirsi “necessari”, dall’altra però placa la paura di essere abbandonati e di conseguenza di rimanere soli.
E’ chiaro che non tutte le forme di accudimento sono patologiche, ma solo quelle eccessive e malsane che non trovano il giusto equilibrio con le proprie esigenze.
La persona co-dipendente si può convincere di poter “salvare” il proprio partner: se la relazione termina, si torna alla ricerca di un’altra persona “bisognosa di aiuto”, spinta dall’esigenza di non rimanere sola piuttosto che dal bisogno di vivere un rapporto alla pari.
Possiamo ritrovare frequentemente questa forma di dipendenza all’interno di una relazione di coppia.
Ciò che la caratterizza è la profonda necessità del partner e il timore opprimente di perderlo, che spesso porta ad oscillazioni dell’umore e senso di solitudine. Questi vissuti, in tempo di quarantena, sono stati probabilmente amplificati a causa della distanza imposta dal Coronavirus.
Le persone che soffrono di dipendenza affettiva possono mostrare un attaccamento di tipo “ansioso”, per cui si avverte una necessità incessante di essere amati e di costanti conferme; quando queste conferme non arrivano si vive un profondo malessere e paura dell’abbandono.
Generalmente queste persone possono essere pervase dall’angoscia o sentirsi incomplete quando non sono impegnate in una relazione e ciò può portare ad una scelta frettolosa della persona con cui stare, rimanendo in tal modo inevitabilmente delusi.
Sostenere situazioni di allerta o tensione troppo a lungo diventa necessariamente stressante e quasi ‘innaturale’.
In alcuni soggetti si sviluppa poi una situazione di ipocondria, intesa come tendenza a un’eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione da Coronavirus. Oltre a ciò, essendo sconosciuto, invisibile e facilmente trasmissibile, può scatenare le paure più profonde rispetto al timore atavico di un qualche elemento incontrollabile che da fuori possa danneggiare noi o i nostri cari.
Non essendo identificabile come oggetto determinato, può generare uno stato di inquietudine e disagio tali da sfociare in vera e propria angoscia, ansia o panico.
La pandemia infatti ci ha messi di fronte ai nostri limiti e alla nostra limitata capacità di controllare ciò che ci circonda: poter controllare ogni cosa è una delle illusioni più grandi dei nostri tempi e forse questo è il momento di farci i conti.
Alcuni suggerimenti utili a fronteggiare i momenti di tensione:
investire del tempo su nuove attività o progetti;
riprendere quelle attività lasciate in sospeso;
mantenere una continuità, se possibile e nel rispetto delle regole suggerite, con la routine e le abitudini quotidiane;
nei casi in cui l’ansia e la paura prendono il sopravvento creando una situazione di disagio cronico, costante e persistente, contattare un professionista.
Il “burn out” (letteralmente vuol dire ‘scoppiato’, ‘bruciato’) è definito come cedimento psico-fisico e ridotta realizzazione personale, che può insorgere in coloro che svolgono una professione basata sulla ‘relazione d’aiuto’ tra operatore e utenti. Tali attività lavorative implicano un intenso coinvolgimento emotivo, responsabilità morali e stress molto elevati, che spesso, se non sussistono adeguate misure di prevenzione, possono indurre sensazioni di ansia , paura, frustrazione. In casi estremi tale sindrome può implicare conseguqnze psicopatologiche come insonnia , problemi coniugali o familiari, incremento nell’uso di alcol o farmaci e deteriorare la qualità delle cure o del servizio prestato dagli operatori. Sono molti i professionisti socio-sanitari a rischio di burn-out, ma quelli più esposti sembrano essere operatori di comunità, educatori, insegnanti, riabilitatori psichiatrici, assistenti sociali e infermieri, in quanto sono professionalità caricate da una duplice fonte di stress : il loro stress personale e quello della persona aiutata.
CARATTERISTICHE
esaurimento emotivo: consiste nella sensazione di essere in continua tensione, svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di una povertà di sentimenti verso gli altri;
depersonalizzazione: si manifesta con una presa di distanza, rifiuto, comportamenti negativi e sgarbati nei confronti di chi riceve la cura o il servizio;
ridotta realizzazione personale: riguarda il sentirsi inadeguati al proprio lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso nella propria professione.
sintomi fisici: apatia, disturbi del sonno, disturbi gastro-intestinali, perdita e/o aumento di peso, frequente mal di testa, difficoltà sessuali;
sintomi comportamentali: impulsività, irritabilità e aggressività, assenteismo, abuso di psicofarmaci e di alcool, conflitti in famiglia e con il partner, impazienza eccessiva;
sintomi cognitivi-affettivi: distacco emotivo dal cliente, metodo di lavoro con procedure standardizzate, atteggiamento critico verso i colleghi, mancanza di entusiasmo nel lavoro e fuori dal lavoro, depressione, cinismo, perdita di entusiasmo, frustrazione, perdita di motivazione.
POSSIBILI SOLUZIONI
L’aiuto più efficace per la persona è sicuramente un intervento da parte di un professionista, che possa fornire strumenti che permettano una comprensione del problema e del legame tra il proprio comportamento ed il contesto lavorativo. Una volta acquisite e messe in pratica le modalità più efficaci di comportamento, è molto utile valutare anche quanto tempo si sta dedicando al lavoro più del dovuto e dedicarsi maggiormente a se stessi, ai familiari e agli amici. Inoltre, si può cercare di far diventare un’abitudine il dedicare più tempo a se stessi, sviluppando i propri interessi o creandone dei nuovi, senza tornare ai problemi legati al lavoro.